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L'ultima lettera di un uomo che pagava la mafia

Quasi un anno è passato da quando Silvio Berlusconi è deceduto mentre era ricoverato all'ospedale San Raffaele di Milano.
Con le elezioni europee alle porte, i sondaggi che danno Forza Italia in crescita e pronta a superare la Lega di Salvini, ecco che il "morto che parla" torna a far sentire la propria voce.
Lo fa tramite il Corriere della Sera che, grazie al racconto della figlia, Marina Berlusconi, ha pubblicato il contenuto della sua ultima lettera.
Un testo che, come riferisce la stessa figlia, fu scritto nella camera del San Raffaele di Milano nel primo pomeriggio di sabato 10 giugno, due giorni prima di morire.
Come in uno "show", dove Berlusconi è unico protagonista, si fa le domande e si dà le risposte. Senza alcuna vergogna.
D: "Ma, Presidente, che partito è Forza Italia?". R: "Forza Italia è il partito del cuore, Forza Italia è il Partito dell'amore, per i propri figli, per i propri nipoti, per tutti. Forza Italia è il partito che crede in Dio e nel suo amore per tutti noi. Forza Italia è il partito che aiuta chi ha bisogno. E' il partito che dà a chi non ha. Forza Italia è il partito della casa che dovremmo avere tutti. Forza Italia è il partito del mondo senza frontiere, del mondo che si ama, del mondo unito e rispettoso di tutti gli Stati. Forza Italia è il partito del mondo che ama la pace, del mondo che considera la guerra la follia delle follie, dove si uccidono degli altri che nemmeno si conoscono, Forza Italia è il partito del mondo senza frontiere, degli Stati che si aiutano l'un l'altro. Forza Italia è il partito della libertà, della democrazia, del cristianesimo, è il partito della dignità, del rispetto di tutte le persone, è il partito del garantismo della giustizia giusta. Ripeto, Forza Italia è il partito della libertà. Forza Italia è il partito per me, per te, per tutti noi (…)". D: "Ah, appunto, dimenticavo. Ma lei di che partito è?" R: "Sono anch'io di Forza Italia, del partito che ho fondato io, che vorrei possa essere così, convincendo tutti i cittadini dell'Italia e del mondo".
Con tutto il rispetto per la morte, e il diritto di una figlia o di un figlio di ricordare il proprio genitore, tra omissioni e bugie lo scritto di Berlusconi è un insulto all'intelligenza.
L'unica considerazione che possiamo condividere è quando definisce la guerra come "la follia delle follie", ma ovviamente nel suo scritto omette che i suoi governi hanno appoggiato solidamente le guerre in Afghanistan, in Iraq ed anche quella in Libia.
Forse avrebbe fatto meglio a tacere. Come fece l'11 novembre 2019, quando fu chiamato a deporre al processo trattativa Stato-mafia dopo la citazione da parte della difesa del suo grande amico, Marcello Dell'Utri. "Presidente - disse rivolgendosi al giudice della Corte d'Assise d'Appello di Palermo Angelo Pellino - su indicazione dei miei avvocati intendo avvalermi della facoltà di non rispondere".
Anche nel 2002, al processo Dell'Utri, condannato in via definitiva per concorso esterno in associazione mafiosa, aveva preso una decisione simile.
Tema scomodo, per lui, quello della mafia.
Quando parla della nascita di Forza Italia omette di dire che l'ha fondata proprio con l'amico Marcello, un uomo della mafia.
Nella sentenza contro l'ex senatore di Forza Italia si legge che per diciotto anni, dal 1974 al 1992, Dell'Utri è stato il garante “decisivo” dell'accordo tra Berlusconi e Cosa nostra con un ruolo di “rilievo per entrambe le parti: l’associazione mafiosa, che traeva un costante canale di significativo arricchimento; l’imprenditore Berlusconi, interessato a preservare la sua sfera di sicurezza personale ed economica”.


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Marcello Dell'Utri © Imagoeconomica


E ancora è scritto che “la sistematicità nell'erogazione delle cospicue somme di denaro da Marcello Dell'Utri a Cinà (Gaetano Cinà, boss mafioso, ndr) sono indicative della ferma volontà di Berlusconi di dare attuazione all'accordo al di là dei mutamenti degli assetti di vertice di Cosa nostra”.
Insomma l'imprenditore Berlusconi era un uomo che pagava la mafia.
Fino al giorno della sua morte, proprio assieme a Dell'Utri, è stato indagato a Firenze dai procuratori aggiunti Luca Tescaroli (oggi divenuto Procuratore capo di Prato) e Luca Turco, per essere stato tra i mandanti delle stragi del 1993. Un'inchiesta che continua ancora oggi e che può portare a nuove verità su quanto avvenuto in quel passaggio che il nostro Paese ha avuto tra la prima e la seconda Repubblica.
Berlusconi al Paese non ha mai raccontato cosa si disse negli anni Settanta nell'incontro con i boss Stefano Bontade, Gaetano Cinà e Mimmo Teresi, come riferito dal collaboratore di giustizia Francesco Di Carlo (testimone oculare, oggi deceduto).
E' abbondantemente noto che Vittorio Mangano, boss di Porta Nuova, fu assunto da Berlusconi e Dell’Utri nel 1974 come "stalliere".
Quello stesso Mangano che, a loro dire in un’intercettazione del 29 novembre 1986, metteva “bombe affettuose”.
Dice che Forza Italia è il partito "che aiuta chi ha bisogno"; "che dà a chi non ha" ed è la "casa che dovremmo avere tutti", quando nei suoi governi era aumentato l'indice di povertà degli italiani. L’occupazione cominciava a calare soprattutto fra i giovani e per far fronte al problema si inventò una legge che produsse più precariato (legge 30 del 2003).
Se a parole lo slogan era "meno tasse per tutti", la realtà era che le tasse in meno erano solo per gli evasori e i frodatori, beneficiati da continui condoni, tributari, edilizi, ambientali e “scudi fiscali”.
Berlusconi con il suo partito, in costante conflitto di interessi, ha agito soprattutto per sé stesso portando il Parlamento ad approvargli 60 leggi ad personam, alcune bocciate dalla Consulta perché valutate come incostituzionali.
Oggi, ma anche quando era in vita, Forza Italia è un partito che ama talmente la pace che appoggia costantemente l'invio di armi all'Ucraina e ad Israele, anziché imporre un "cessate il fuoco" immediato.


L'indagine di Firenze

La Procura di Firenze riaprì il fascicolo sui mandanti esterni delle stragi nel 2016 quando Giuseppe Graviano, boss di Brancaccio, fu intercettato, nell'ambito dell'inchiesta sulla trattativa Stato-mafia, nel carcere di Ascoli Piceno.
Il boss parlando assieme al compagno d'ora d'aria, Umberto Adinolfi, faceva riferimento alle stragi del 1993, al 41 bis, a dialoghi con le istituzioni e ad un certo punto vi era un riferimento all'ex premier: “Berlusca mi ha chiesto questa cortesia. Per questo è stata l’urgenza”. E poi: “Lui voleva scendere, però in quel periodo c’erano i vecchi e lui mi ha detto ci vorrebbe una bella cosa". E ancora: “Nel ’93 ci sono state altre stragi ma no che era la mafia, loro dicono che era la mafia”. E tante altre considerazioni.
Nel frattempo Giuseppe Graviano ha anche rilasciato delle dichiarazioni nel processo 'Ndrangheta stragista sui rapporti che la sua famiglia avrebbe avuto con lo stesso ex Premier. Illazioni e falsità, secondo i legali di Berlusconi ed i suoi fedelissimi che di recente sono tornati ad accusare i magistrati fiorentini dopo il sequestro preventivo di beni di quasi 11 milioni di euro nei confronti di Marcello Dell'Utri per aver violato la normativa antimafia prevista dalla legge Rognoni-La Torre.
Alla luce della morte di Berlusconi l'inchiesta nei suoi riguardi è chiusa, ma le ombre sono lì evidenti, accompagnate dalle verità delle sentenze.


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Luca Tescaroli © Imagoeconomica


La questione “mandanti esterni”

Già a cavallo tra gli anni '90 e gli anni 2000 il pm Luca Tescaroli (lo stesso che oggi in qualità di procuratore aggiunto indaga a Firenze) aveva aperto un fascicolo sui “mandanti esterni” a Cosa Nostra nelle stragi del '92.
Dal ‘98 al 2001 in quella inchiesta, assieme al collega Nino Di Matteo, aveva iscritto nel registro anche Dell’Utri e Berlusconi.
Poi però l’allora procuratore di Caltanissetta, Giovanni Tinebra, aveva impedito a Tescaroli di poter proseguire il suo lavoro e contestualmente aveva avvisato i due indagati della richiesta di archiviazione, 24 ore prima che fosse depositata regolarmente (il 2 marzo 2001, ndr).
Quell'indagine traeva spunto dalle dichiarazioni di un collaboratore di giustizia di primissimo piano (a cui è stata riconosciuta più volte l'attendibilità) come Salvatore Cancemi, reggente del mandamento di Porta nuova e dunque appartenente alla Cupola ed in contatto diretto con Totò Riina.
Il pentito raccontò in un verbale rilasciato all’ex procuratore aggiunto di Milano Ilda Boccassini (ora in pensione) che Raffaele Ganci gli riferì dell’esistenza di contatti tra Totò Riina e “persone importanti” non affiliate a Cosa nostra.
E in un'altra riunione fu ancora più preciso.
“Ho il dovere di riferire queste circostanze che io ho vissuto in questi anni da protagonista. Nel 1990 o 1991, in questo momento non riesco a essere più preciso - raccontò ai magistrati - […], Ganci Raffaele mi disse che Salvatore Riina voleva parlarmi, ci incontrammo nell’ormai famosa villa di Girolamo Guddo. Riina cominciò parlando di Vittorio Mangano, persona che peraltro non era molto gradita allo stesso Riina perché in passato Mangano era vicino a Stefano Bontate. Riina mi disse di riferire a Mangano che non doveva più interferire nel rapporto che lo stesso aveva instaurato da anni con un tale Dell’Utri, collaboratore di Silvio Berlusconi, perché da quel momento i rapporti con il Dell’Utri li avrebbe tenuti direttamente Riina. Quest’ultimo precisò che, secondo gli accordi stabiliti con Dell’Utri che faceva da emissario per conto di Berlusconi, arrivavano a Riina 200 milioni l’anno in più rate, in quanto erano dislocate a Palermo più antenne (questa è l’espressione che usò Riina, ma ovviamente si riferiva a emittenti private, ndr)”.
Cancemi aveva aggiunto che quei soldi arrivavano in più “rate da 40-50 milioni”.
Ma tra le altre cose Cancemi disse anche che Riina nel 1991, gli riferì che “Berlusconi e […] Marcello Dell’Utri erano interessati ad acquistare la zona vecchia di Palermo e che lui stesso (Riina, ndr) si sarebbe occupato dell’affare, avendo i due personaggi ‘nelle mani’”.


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Giuseppe Graviano


Il racconto di Brusca

Anche testimonianze di altri importanti esponenti della mafia palermitana, poi divenuti collaboratori di giustizia, tra cui Giovanni Brusca, aggiunsero dettagli dei rapporti sull'asse mafia-Dell'Utri-Berlusconi. Brusca indicò “come regalo, come contributo, come estorsione” il denaro versato da Berlusconi a Cosa Nostra, e Gaetano Grado, che affermò che una parte degli ingenti guadagni del traffico di droga furono investiti dalla mafia, tramite l’azione di Dell’Utri, nelle società di Silvio Berlusconi.
Nell'ottobre 2018 sempre Brusca, sentito dalla Procura di Palermo, ha riferito un ulteriore dettaglio parlando di un summit avvenuto nel trapanese tra i capimafia nel 1995 in cui si parlava dell'ipotesi di rapire il figlio di Pietro Grasso, allora procuratore aggiunto della Direzione nazionale antimafia. Ed è in quell'occasione che avrebbe appreso, direttamente da Matteo Messina Denaro, che Silvio Berlusconi si incontrava con il capomafia Giuseppe Graviano. Non solo: il boss di Brancaccio avrebbe addirittura notato un orologio al polso dell’ex premier del valore di 500 milioni.
Ci sono poi le dichiarazioni di Gaspare Spatuzza, il pentito che ha permesso di scrivere un nuovo capitolo sulla strage di via d'Amelio. E' proprio lui ad aver raccontato ai magistrati dell'incontro che avrebbe avuto con il boss Graviano all'interno del bar Doney di Roma, pochi giorni prima del fallito attentato all'Olimpico, che si sarebbe dovuto verificare il 23 gennaio.
"Aveva un'aria gioiosa e mi disse che avevamo ottenuto tutto quel che cercavamo grazie a delle persone serie che avevano portato avanti la cosa - aveva raccontato in più occasioni - Io capii che alludeva al progetto di cui mi aveva parlato già in precedenza, in un altro incontro a Campofelice di Roccella”. “Poi - aveva proseguito - aggiunse che quelle persone non erano come quei quattro crasti (cornuti, ndr) dei socialisti che prima ci avevano chiesto i voti e poi ci avevano fatto la guerra”. “‘Ve l’avevo detto che le cose sarebbero andate a finire bene’”, avrebbe detto Graviano. “Poi - aveva concluso - mi fece il nome di Berlusconi. Io gli chiesi se fosse quello di canale 5 e lui rispose in maniera affermativa. Aggiunse che in mezzo c’era anche il nostro compaesano Dell’Utri e che grazie a loro c’eravamo messi il Paese nelle mani. E per Paese intendo l'Italia”.
E' possibile che Dell'Utri e Graviano si siano incontrati nei giorni precedenti? E' possibile. Come evidenziato durante i dibattimenti del processo Stato-mafia e 'Ndrangheta stragista proprio in quel periodo Marcello Dell'Utri si trovava nella Capitale presso l'Hotel Majestic, a poche centinaia di metri dal bar Doney, dove si svolgeva una convention di Forza Italia.
Tanti spunti che vengono giustamente approfonditi sul piano investigativo.
Di tutto questo, ovviamente, Berlusconi, nella sua ultima lettera, tace. Mentendo agli italiani. Cercando di abbindolare il “popolino”.
Ma resta un pregiudicato, condannato in via definitiva a quattro anni per frode fiscale, “puttaniere”, amico dei mafiosi, iscritto alle liste della loggia massonica occulta P2, di Licio Gelli.
Ha già fatto abbastanza danni al Paese da vivo, distruggendolo. Che non li faccia anche da morto che parla.
E visto che è credente, noi pensiamo che cambierà idea quando si troverà, se già non lo è, faccia a faccia con Dio.
Perché Dio, quello vero, è un giudice molto più preciso e giusto di quanto Berlusconi immagini.
Per chi non lo sapesse basta leggere il decalogo dei comandamenti.

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