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Questo articolo, che riproponiamo ai nostri lettori, è stato scritto in data 27-02-2024.

Al Testimone di Giustizia, come abbiamo già evidenziato in passato, da anni non vengono riconosciuti i diritti previsti dalla Legge.

Le gravi inadempienze da parte del Servizio Centrale di Protezione hanno ulteriormente aggravato la situazione del Testimone di Giustizia. Angelo Niceta e i suoi familiari in questo momento sono letteralmente ridotti “alla fame”, una situazione del tutto in contrasto con il “reinserimento sociale e lavorativo” previsto dalla Legge. In queste condizioni, i figli del Testimone di Giustizia non potranno nemmeno completare gli studi.

Eppure, in attesa di definire la situazione, sarebbe stato semplice per il Servizio Centrale di Protezione fare fronte a questa situazione, semplicemente ottemperando a quanto prevede la Legge, il “contratto” stipulato con il “Programma di protezione” e a quanto è stato già deliberato.

Per i Testimoni di Giustizia e i loro congiunti, oltre alle altre forme di protezione e tutela, la Legge n. 6/2018 prevede il riconoscimento di un rimborso forfettario “a titolo di ristoro per il pregiudizio subito a causa della testimonianza resa”.

Dei precisi doveri dello Stato, asseverati anche dallo stesso “Programma di protezione”, di cui riportiamo in foto il relativo paragrafo, e che, benché quantomeno il risarcimento per le mancate opportunità lavorative sia stato già approvato, non viene incredibilmente corrisposto ad Angelo Niceta e ai suoi familiari.

Tutto ciò accade mentre Angelo e il figlio Enrico sono parti offese in procedimenti giudiziari in corso e, oltretutto, non hanno neppure di che nutrirsi e di provvedere alla cura della propria salute, oltre alle altre normali necessità della vita quotidiana.

“La responsabilità è del Servizio Centrale di Protezione e della Commissione Centrale” – ci ha dichiarato Angelo Niceta – “è una estorsione di Stato, ci stanno facendo morire a fuoco lento”.

Angelo Niceta denuncia non solo la mancata erogazione del risarcimento economico previsto dalla legge, ma anche la mancata adozione di misure adeguate di protezione per lui e i suoi familiari.

Nel marzo del 2022 la casa non abitata presso Casteldaccia di Enrico Niceta, figlio di Angelo ed anch’egli in quel momento sotto protezione in località protetta, è stata oggetto dell’introduzione mediante effrazione di estranei, di furto, atti di vandalismo all’interno e devastazione.

La Legge n. 6/2018, che disciplina il trattamento dei Testimoni di Giustizia, prevede espressamente la “predisposizione di accorgimenti tecnici di sicurezza per le abitazioni, per gli immobili e per le aziende di pertinenza dei protetti” (art. 5, comma 1).

Nonostante tali misure di protezione avessero dovuto già essere adottate da tempo dallo Stato, poiché già nel 2019 ignoti si erano introdotti nella casa e l’avevano frugata, e la situazione era stata messa a conoscenza del Servizio Centrale, in data 26/04/2023 Angelo Niceta ha anche inviato una PEC al Prefetto di Palermo, esponendo l’accaduto e la situazione in essere e chiedendo l’adozione di idonee misure.

Nessuna misura, a quanto ci risulti, è stata adottata in tal senso. Di fatto, l’abitazione di Casteldaccia di Enrico Niceta è stata vittima di 3 gravi episodi dal 2019 al 2023 nella totale e colpevole assenza di quello Stato che aveva il preciso dovere di garantirgli un’adeguata protezione.

Affinché lo Stato protegga il Testimone di Giustizia Angelo Niceta e i suoi familiari, rispettando e attuando semplicemente quanto previsto dalla Legge, bisogna attendere che accada qualche fatto grave e irreparabile?

Tratto da: facebook.com/resistenzaantimafia

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