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wesolowsky jozef1di Marco Ansaldo
A Luglio Wesolowski ricoverato alla vigilia del processo. Il Vaticano ordina l’autopsia
Città del Vaticano. Lo ha ucciso forse la vergogna, ed è morto probabilmente di crepacuore, solo in stanza, alle 5 di mattina, davanti alla tv accesa. Sarà l’autopsia a ufficializzare le cause — che il Vaticano ha detto essere naturali — della scomparsa di Josef Wesolowksi, 67 anni, il prete polacco accusato di pedofilia e che a breve avrebbe dovuto presentarsi alla sbarra. Il più alto prelato mai finito sotto inchiesta nella Santa Sede.
La notizia dell’improvvisa morte di Wesolowski («Lo avevo incontrato nei giorni scorsi e lo avevo visto sereno e disponibile come sempre a collaborare», dice il suo avvocato Antonello Blasi), ha comunque causato sorpresa ieri in Vaticano. L’ex arcivescovo polacco — da tempo privato di tutti i suoi incarichi — è stato trovato senza vita da un francescano, all’interno del Collegio dei Penitenzieri, dov’era agli arresti domiciliari. Il Promotore di giustizia ha disposto l’esame autoptico, effettuato già nel pomeriggio, con la promessa di diffondere i risultati appena possibile.

Un caso molto imbarazzante, ma che il Vaticano ha voluto mostrare di affrontare in modo netto. Nel 2013 Wesolowski, ordinato sacerdote nel 1972 da Karol Wojtyla, e da 5 anni nella Repubblica Dominicana come nunzio apostolico, era stato visto in una zona di prostituzione minorile nella capitale Santo Domingo. Papa Francesco, da pochi mesi insediatosi come Pontefice, ordinò il suo rientro immediato e dopo la sentenza di colpevolezza da parte della Congregazione della Dottrina della Fede, l’ex Sant’Uffizio, lo condannò alle dimissioni dal suo stato clericale. L’anno dopo, a settembre, il Promotore di giustizia Gian Piero Milano decise di arrestarlo, impedendo all’arcivescovo di pensare a una possibile la fuga.
L’ex presule aveva pendenti su di sé ben cinque capi di accusa: detenzione di materiale pedopornografico, pedofilia in concorso con il diacono Francisco Occi Reyes, ricettazione di materiale pedopornografico, lesioni gravi alle sue vittime adolescenti, condotta che offende la religione e la morale cristiana per aver visitato siti pornografici.
Di seguito, le inchieste fatte in loco dalla giustizia vaticana e da quella dominicana scoperchiarono una considerevole massa di reati. Santo Domingo era diventata per la nunziatura di allora una vera e propria lobby pedofila. E a Juncalito, nella provincia di Santiago, i procuratori locali scoprirono le malefatte di un altro prete polacco, amico del nunzio, il reverendo Wojciech Gil. Un tipo macho, che girava in moto, o su un pick-up argentato, sfoderando persino una pistola. Quando nella canonica accesero il suo computer da tavolo, si materializzarono 87mila immagini di piccoli dominicani. Alcuni di loro regolarmente abusati dalla gang di sacerdoti. Gil, rientrato in Polonia in una casa del clero vicino a Cracovia, ha rigettato le accuse ed è stato sospeso dal sacerdozio.
Sulla base delle imbeccate avute, a Santo Domingo i poliziotti passarono così a visionare il computer dell’ambasciatore della Santa Sede, il vescovo. Qui le foto erano ancora di più: 100mila, un archivio con tanto di video e file allegati. Scattò la denuncia della Procura dominicana, e la notizia approdò a Roma. Wesolowski fu richiamato a Roma.
La macchina della giustizia vaticana si mise in moto. Rinviato a giudizio il 6 giugno scorso, la prima udienza del processo era stata fissata per l’11 luglio. E, su “motu proprio” di Jorge Bergoglio, a giudicare l’ex arcivescovo in un procedimento penale in Vaticano sarebbero stati per la prima volta tre laici. La seduta era durata però solo 3 minuti. Wesolowski, che dopo un periodo di detenzione in una cella della Santa Sede aveva ricevuto i domiciliari per problemi di salute, non si presentò perché colto da malore e fu ricoverato in ospedale. Il rinvio del processo era stabilito, ma senza una data precisa.
In Vaticano c’è chi tira un respiro di sollievo, per un caso che non finirà più sulle prime pagine dei giornali internazionali. Ma la notizia della sua morte lascia ora senza giustizia le vittime, e impuniti quanti l’avevano aiutato e coperto.

Tratto da: La Repubblica del 29 agosto 2015

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