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"A certe latitudini la cultura di mafia e di 'Ndrangheta si ereditano all'interno della famiglia o comunque si assorbono nel contesto locale in cui si cresce. In 25 anni di attività di giudice minorile a Reggio Calabria mi sono trovato, assieme ai colleghi, a processare tanti minorenni appartenenti a contesti di criminalità organizzata: mi sono passati davanti prima i padri e poi i figli". Così il presidente del tribunale per i minorenni di Catania, Roberto Di Bella (in foto), in audizione presso la commissione Antimafia a palazzo San Macuto. "Per questo, davanti all'orrore di diverse vicende, che hanno visto protagonisti o vittime dei minorenni, abbiamo pensato che serviva fare qualcosa in più non limitandoci ad aspettare il momento penale ma anticipando gli interventi a tutela". Di Bella ha quindi spiegato: "Abbiamo provato a censurare il modello educativo mafioso, così come si censurano le condotte dei genitori maltrattanti. In situazioni di concreto pregiudizio per il regolare sviluppo psicofisico dei ragazzi, per evitare progressioni criminali altrimenti inarrestabili, li abbiamo allontanati momentaneamente dal loro contesto inserendoli in comunità o in famiglie di volontari antimafia". Il presidente del tribunale per i minorenni di Catania ha sottolineato che si tratta di provvedimenti "che vengono adottati nell'ambito di una cornice costituzionale ben precisa" perché "non siamo avventurieri del diritto - ha precisato - ma ci muoviamo sulla base di norme ben precise e caso per caso, in presenza di situazioni estreme di pregiudizio che ci impongono di non voltarci dall'altra parte e di intervenire". L'obiettivo di questi provvedimenti "è quello di assicurare le tutele per una regolare crescita psicofisica dei ragazzi - ha continuato -. in questo contesto cerchiamo di allargare i loro orizzonti culturali, rendendoli liberi di scegliere. Ci siamo prefissati di cambiare traiettorie di vita che, diversamente, sarebbero state ineluttabili. Un percorso iniziato nel 2012: da allora abbiamo aiutato tanti ragazzi".


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Carla Santocono


Nella stessa audizione ha preso parola anche la dottoressa Carla Santocono, Procuratore della Repubblica presso il Tribunale dei minorenni di Catania: "Io quando devo mettere, chiedendo al tribunale, in protezione dei bambini che magari sono trasportati dai genitori per consegnare cocaina quando sono con la figlia femmina, crack, quando sono col figlio maschio e sono bambini piccoli, ecco i genitori hanno l'età di mia figlia, sono magari del 2001, i nonni sono più piccoli di me e quindi si arriva anche ai bisnonni, sono tutti operativi, sono tutti ancora sul territorio e quindi sono contesti familiari molto allargati dove anche le figlie femmine rappresentano questo anello di congiunzione, sembrano discorsi arcaici ma è ancora così, anello di congiunzione con famiglie mafiose contigue mantenendo sempre fermi i legami familiari tra la criminalità organizzata. Ecco, noi interveniamo, interveniamo senza alcun timore, con assoluta fermezza, perché rispondiamo a una esigenza giuridica, perché siamo magistrati, perché siamo giuristi" ma vi è anche una questione morale "e su questo penso che possiamo essere tutti d'accordo, perché davanti a certe violenze anche se con queste modalità ancora più subdole si può non intervenire, anzi forse si interviene con più determinazione, però vorremmo anche, abbiamo l'esigenza di riempire di contenuti questi provvedimenti e qua ci scontriamo con una assenza di una normativa che organizzi poi in concreto questo tipo di interventi perché al momento noi siamo collegati a quelle realtà sulle quali stesse dobbiamo intervenire, cioè sono questi provvedimenti che sono demandati nell'operatività ai comuni stessi, quindi voi ben capite che un comune fortemente condizionato ha una presenza mafiosa, deprivato, di risorse, deprivato anche di strutture, fatica molto a sostenere l'impegno di eseguire poi questi provvedimenti".

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Foto © Imagoeconomica

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