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Oggi presso la Suprema Corte si celebrerà l’udienza per la trattazione di un ricorso 'straordinario' nei confronti della sentenza che ha condannato in via definitiva, a maggio dell'anno scorso per associazione mafiosa (fino al 2000), l'eminenza grigia di Barcellona Pozzo di Gotto Rosario Pio Cattafi, un criminale “sui generis”: probabilmente l’unico ad aver avuto legami con sottosegretari di Stato, assessori regionali, mediatori internazionali di armamenti, boss di Cosa Nostra, magistrati, esponenti della destra eversiva, rappresentanti delle forze dell’ordine, industriali di livello nazionale e internazionale, personaggi del mondo dello spettacolo e massoni con ruoli di potere.
Ricordiamo che in presenza di una condanna definitiva l'imputato, per la legge italiana, diventa al di là di ogni ragionevole dubbio colpevole; tant'è vero che gli unici modi per mettere in discussione una sentenza della cassazione è attraverso l'istituto della revisione, applicabile quando sopraggiungono elementi di merito, nuovi ed evidenti, che indichino l’innocenza del condannato; vi è poi il “ricorso straordinario”, richiesto solo ed esclusivamente per la correzione di un mero errore materiale (“si riferisce alla sola documentazione grafica (…), un mero lapsus calami nella stesura del provvedimento, non coincidente con quello che il giudice realmente intendeva” [cit. Brocardi.it]) o di fatto (“una svista o un equivoco, in cui la volontà del giudice non si è formata correttamente. [cit. Brocardi.it]).
I difensori di Cattafi, come ha spiegato ieri in commissione antimafia l'avvocato Fabio Repici (che discuterà oggi la richiesta di revisione davanti ai giudici in quanto legale di parte civile), hanno presentato un ricorso che invece riguarda "l'attendibilità dei collaboratori di giustizia utilizzati come fonti di prova a carico di Rosario Cattafi e il ricorso è fatto per capitoli e ogni capitolo ha il nome del collaboratore di giustizia che ha reso accusa nei confronti di Cattafi. E' una cosa che io non avevo mai visto e non solo non avevo mai visto, confido che mai più, non solo io, ma nessun operatore processuale rivedrà".
"Non so come si possa ritenere - ha continuato - che le valutazioni di una corte sulla attendibilità, anzi, le valutazioni di legittimità della corte dell'apparato motivazionale di una sentenza di merito che aveva ritenuto attendibili le fonti di prova nei confronti di Rosario Cattafi, possa essere oggetto di valutazione sotto il profilo dell'errore di fatto, è una cosa clamorosa".


Le motivazioni della sentenza d'Appello

"Non ci sono dubbi" sul fatto che Rosario Pio Cattafi, almeno dall'ottobre del 1993 al marzo del 2000, fosse a tutti gli effetti un uomo della cosca mafiosa di Barcellona Pozzo di Gotto (Messina), non solo come persona di fiducia del boss Pippo Gullotti (di cui era stato testimone di nozze) ma anche, dopo l'arresto di quest'ultimo avvenuto nel febbraio del 1998, come "riferimento di spicco dell'organizzazione" per gli altri affiliati e storici vertici, "assumendo compiti e rapporti con le Istituzioni deviate e i colletti bianchi".  La corte d’Appello di Reggio Calabria, (presieduta da Filippo Leonardo) 6 ottobre 2021 aveva condannato Cattafi a 6 anni di carcere per associazione di stampo mafioso. 116 pagine di motivazione di sentenza in cui i giudici reggini mettono luce su quella che sarebbe la vera identità avuta da Pio Cattafi, da lui sempre rinnegata. Uno spaccato inquietante su uno degli uomini più misteriosi di Barcellona Pozzo di Gotto, frutto del contributo dichiarativo di così tanti collaboratori di giustizia, scrive la Corte d’Appello, che “è davvero arduo accreditare la tesi secondo cui l'imputato sarebbe vittima di un ordito complotto ai suoi danni”, come sostengono i suoi legali.

All’esito delle risultanze riportate, si legge nella sentenza, “si può affermare, al netto delle obiezioni riportate e superate, che vi sono fatti precisi, del tutto sintomatici della adesione associativa di costui fino al marzo 2000, dovendosi rilevare che la pluralità delle fonti assunte e la loro strutturale convergenza in ordine all'unico decisivo thema probandum, vale a dire la sua partecipazione al medesimo sodalizio, non lascia spazio a dubbi né a tesi alternative ipotetiche, vagliate e ritenute inidonee a incidere sull’assunto accusatorio, qui sposato”. La Corte infatti - riportando le rispettive dichiarazioni dei collaboratori di giustizia D’Amico, Siracusa, Castro, Bisognano e Mirabile - ritiene “comprovato” che l’imputato “ha partecipato ad una riunione associativa nel 1993” (dich. D’Amico);” “ha partecipato ad un altro convegno di mafia, dopo la sua scarcerazione nel ‘97” (dice. Siracusa); “È stato presentato da Barresi Eugenio come sodale del gruppo nel 2000, tale continua ad essere considerato ancora verso 2000 durante i convegni elettorali (dice Castro)”; “ancora nel 2002 è certamente ritenuto un affiliato al medesimo gruppo” (dich. Bisognano). E infine “nel 2004 Rugolo (Salvatore, medico di base deceduto nel 2008 in un incidente stradale, ndr) continua a ritenerlo certamente associato, considerandolo responsabile, in via morale, della morte del dott. Manca” (dich. Mirabile).

Foto © Imagoeconomica

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