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Oggi le commemorazioni in ricordo della mattanza del 2 gennaio 1999

Il 2 gennaio 1999 nel bar di un rifornimento di benzina alle porte di Vittoria, nel Ragusano, vengono uccise cinque persone: Angelo Mirabella 32 anni, vicino al boss Carmelo Dominante, e ritenuto il reggente del clan della 'stidda' di Vittoria, Claudio Motta 21 anni, cognato di Mirabella, Rosario Nobile 27 anni che aveva qualche parentela scomoda, Rosario Salerno 28 anni e Salvatore Ottone 27 anni, questi ultimi due semplici avventori del bar. La mattanza verrà chiamata “Strage di San Basilio”. Quattro le armi utilizzate: due calibro 9, una 357 Magnum e una Glock. A distanza di 25 anni, per Giuseppe Nicosia, già sindaco di Vittoria ma anche l'avvocato che ha rappresentato 14 parti civili nei processi, si è chiarito ogni aspetto e le condanne per mandanti, esecutori e fiancheggiatori sono passate tutte per i tre gradi di giudizio diventando definitive.

"Sullo sfondo della strage di San Basilio una lotta di mafia - ricorda Nicosia - ciò che è emerso dai processi è che in quel periodo 'cosa nostra' entrava a Vittoria con la famiglia Emmanuello che comandava sui Piscopo; per la prima volta avrebbe conquistato una sorta di 'riserva' della 'stidda'. C'erano state frizioni tra i Piscopo e Mirabella ed era intervenuto Emmanuello in persona per cercare di mettere pace, ma senza esito; Mirabella sarebbe stato poco accomodante. Fu allora che diede il via libera per uccidere Mirabella e quanti lo accompagnavano". Alessandro Emmanuello, Giovanni Piscopo e i due omonimi cugini Alessandro Piscopo, i mandanti; Giovanni Piscopo, Gianluca Gammino, i killer, Carmelo Massimo Billizzi, Enzo Mangione, i basisti, Diego Amaddio, il palo, Carmelo La Rocca, l'autista del commando. Si parla anche di un tentativo precedente, ma andato storto, di ammazzare Mirabella. Poi il 2 gennaio quando si fece buio, scatta l'attacco. Solo una persona si salva, è il barista, quando Giovanni Piscopo con le sue pistole, in una autentica esecuzione, finisce le persone già cadute sotto una raffica di colpi interminabile, lui è dietro al bancone, Piscopo non se ne accorge. Complesso il primo processo, rischiava di arenarsi. "Sulla strage di San Basilio si e' fatta piena luce, grazie alle solide basi definite nel primo processo, e poi confermate sia nei successivi gradi di giudizio, sia dalle dichiarazioni di Giovanni Piscopo che negli anni si penti', dando origine poi ad altri procedimenti che allargarono il cerchio incastrando senza scampo tutti i soggetti coinvolti in quella mattanza - racconta l'avvocato Giuseppe Nicosia -. Il primo processo fu particolarmente delicato, indiziario, anche se l'impianto era chiaro. Erano stati arrestati solo i tre Piscopo e Mangione ed erano ancora molti i punti da chiarire. Una grande parte la fece il procuratore Fabio Scavone, e poi in Cassazione, Piercamillo Davigo. C'era chi riteneva che in carcere i Piscopo ci fossero finiti per errore. Si contestava il fatto che le condanne all'ergastolo fossero troppo severe rispetto agli elementi probatori ritenuti non sufficienti. C'erano delle dichiarazioni di un collaborante ma poco circostanziate. E in quel frangente, anche noi, davanti alla richiesta in Cassazione di una assoluzione del gruppo di fuoco, abbiamo prodotto una cospicua memoria per le parti civili; abbiamo fatto la nostra parte sostenendo le ragioni della pubblica accusa con determinazione. E la Cassazione confermò gli ergastoli. Vorrei sottolineare il coraggio delle famiglie Ottone e Salerno; i loro genitori sono stati a ogni udienza, sempre, in tutti i processi, non rassegnandosi mai e chiedendo sempre la verità e la giustizia. Ecco, grazie a questo primo processo si fece luce su tutto il resto". Non un solo procedimento ma diversi, perché, negli anni, ci furono delle altre operazioni scaturite da approfondimenti investigativi. "Le conferme delle condanne in Cassazione, nonostante il procuratore generale avesse chiesto l'assoluzione per insufficienza di prove in quel primo processo, furono determinanti. Poi ci furono i pentimenti di Giovanni e di Alessandro Piscopo. Hanno raccontato ogni dettaglio di quella mattanza, ogni attimo, facendo luce sui ruoli e gli intrecci - ricostruisce Nicosia - su chi ha fatto cosa, e aggiungendo dettagli in un impianto accusatorio che si e' rivelato corretto sin dall'inizio e permettendo di ricostruire tutto quanto accaduto e permisero tra gli altri, di inchiodare anche Gammino e Billizzi. Giovanni Piscopo racconto' che gli unici obiettivi erano Mirabella e Motta, che Gammino per sbaglio colpi' anche Ottone e Salerno e fu lui stesso invece a finire Ottone, Salerno e Nobile anche lui rimasto ferito".

Arresti e ulteriori processi proprio per le figure che fecero da contorno a quella strage di mafia. L'ultimo e' stato quello a carico di alcuni personaggi di Mazzarino e Riesi che avevano fornito armi e supporto logistico. Quasi tutti condannati all'ergastolo ma l'avvocato Nicosia evidenzia una stonatura: "Di questa vicenda giudiziaria c’è solo una nota che stona, ovvero la condanna mite per Billizzi e Gammino, quest'ultimo pluriomicida, uno dei killer. Solo 12 anni; i due si sono pentiti a processo in corso, e hanno usufruito di ogni beneficio previsto. Una legge assurda per alcuni versi, ed eccessivamente premiale", conclude l'avvocato Nicosia. Le condanne, anche per le ultime operazioni messe a segno sono diventate definitive. Quest’anno “La strage di San Basilio" è stata ricordata a Vittoria con un sit in in piazza del Popolo. In accordo con i familiari di Salvatore Ottone e Rosario Salerno su iniziativa di Libera, Cgil ed Anpi, ed in collaborazione con altre realtà ed associazioni del territorio, gli organizzatori hanno proposto un momento esterno in memoria dei due giovani uccisi dalla mafia.

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