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L'intervista di ANTIMAFIADuemila al criminologo e docente di strategie di lotta alla corruzione e al crimine organizzato presso il RIACS di Newark

Questo articolo, che riproponiamo ai nostri lettori, è stato scritto in data 11-12-2023.

Professore Musacchio, quali potrebbero essere gli effetti dell'introduzione del ‘fascicolo’ del magistrato sull'autonomia e l'indipendenza della magistratura?

Non la vedo come qualcosa di negativo, se ci fossero dei presupposti. Il primo è che la valutazione avvenga solo su criteri oggettivi. Mi spiego meglio: io penso che sia giusto che il magistrato sia valutato, già esistono le valutazioni, ce ne sono diverse anche per i capiufficio. Però per evitare giudizi di discrezionalità o soprattutto discriminazioni o assegnazioni di posti direttivi con criteri non proprio trasparenti, sarebbe giusto il criterio dell'oggettività, cioè valutare la produttività, gli obiettivi raggiunti, la progressione dell'ufficio che si dirige e così via. Quindi quando andiamo a valutare un magistrato lo dobbiamo fare nel suo complesso, in tutte le sue attività. Questo eviterebbe il giudizio discrezionale che poi potrebbe penalizzare il magistrato e non minerebbe l'autonomia e l'indipendenza della magistratura. Un'altra cosa da precisare è la campionatura. Penso che il magistrato non possa essere valutato a campione per quello che ha fatto, ma debba essere valutato nella sua interezza. Mi spiego bene: non è solo un giudizio quantitativo, ma è anche qualitativo, perché io posso scrivere 100 sentenze di un valore basso, ne posso scrivere 40 che hanno invece un valore altissimo e che possono fare giurisprudenza. Su quest’aspetto la valutazione andrebbe fatta da persone competenti ed esperte. Sono anche contrario che la valutazione del magistrato avvenga da parte degli avvocati, perché comunque si potrebbero instaurare dei conflitti. Mi spiego con un esempio: noi sappiamo che spesso ci sono contatti diretti tra il magistrato e l'avvocato. Proviamo a pensare se quell'avvocato ha una causa con un determinato magistrato che in seguito potrebbe essere valutato e ritrovare quest’avvocato nella valutazione. Poniamo anche che ci sia tutta l'imparzialità del caso, ma come diceva Rosario Livatino, oltre ad essere credibili, bisogna anche apparire credibili. Quindi io, al posto degli avvocati, farei far parte di questa commissione di valutazione, i professori ordinari in materie giuridiche.

Secondo lei questa nuova magistratura che si sta costruendo, quindi molto soggetta a giudizi da parte di persone che non fanno parte della magistratura, potrà ancora fare inchieste sul potere? Sarà ancora possibile che un pubblico ministero che si trovi tra le mani un'inchiesta particolarmente difficile accetti il rischio di fare questa inchiesta, oppure preferirà convergere la sua attenzione su inchieste molto più facili, dove per esempio c'è la confessione del reo?
Io credo che tutto questo dipenda soprattutto dal potere politico, dipende da chi governa in un determinato momento storico e dalle leggi che si pongono in essere, soprattutto le leggi con le quali s’intende combattere il fenomeno mafioso. Sono molto critico su quest’aspetto e su questa fase storica che noi stiamo attraversando, perché credo che le vere grandi inchieste contro la criminalità organizzata siano finite nel 1992 con la morte di Falcone e Borsellino e mi spiego: io per grandi inchieste intendo quelle che hanno inferto un colpo mortale e definitivo all'organizzazione mafiosa. Io immagino Falcone, Borsellino, Caponnetto, Chinnici, il Maxi Processo. Nel loro insieme hanno determinato comunque la sconfitta definitiva di Cosa nostra. Poi si rigenererà e poi assumerà altre forme, questo è un dato abbastanza scontato, ma Cosa nostra di quel periodo, la Cosa nostra di Totò Riina, è stata sconfitta proprio grazie all'acume e alla legislazione che ci fu in quel periodo e che fu scritta principalmente da Giovanni Falcone. Ecco, se noi scardinassimo - e qualcosa nell'aria c'è - quella che fu la legislazione scritta da Giovanni Falcone, allora credo fermamente che non avremo più inchieste in materia di antimafia che incidano veramente sulla criminalità organizzata moderna, perché, come dico sempre, oggi siamo di fronte a nuove mafie che non sono più quelle tradizionali.


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Giovanni Falcone © Foto originale Archivio Letizia Battaglia


Lei ha parlato di legislazione antimafia. La nostra legislazione, che fino a prova contraria è la migliore in termini di lotta alla mafia, andrebbe aggiornata ai tempi che stiamo attraversando oppure dovremmo lasciare tutto così com'è?
Sicuramente noi abbiamo la migliore legislazione antimafia, forse al mondo, ma sicuramente in Europa è la migliore. Questo però non ci deve far restare passivi su quello che potrebbero essere le metamorfosi mafiose. Io credo che la legislazione antimafia debba essere non solo multiforme, ma si debba adeguare alle metamorfosi che le mafie attuano continuamente. Oggi le mafie sono completamente diverse da quelle che erano dieci anni fa, da quelle che erano cinque anni fa. Oggi abbiamo mafie che possiamo definire senza alcun dubbio transnazionali, le possiamo definire mercantilistiche, le possiamo definire corruttrici e le possiamo definire invisibili. Sono quattro caratteristiche che hanno le mafie contemporanee. Ecco, se le vogliamo combattere con una legislazione che si adegui a queste quattro caratteristiche, certamente la legislazione che abbiamo adesso andrà modificata. Sull'aspetto transnazionale, senza ombre di dubbio, abbiamo bisogno di una cooperazione internazionale, di una cooperazione europea tra forze di polizia e magistratura. Per quanto riguarda l'aspetto mercatistico delle nuove mafie, io credo che bisogna incidere fortemente sulla criminalità economico-finanziaria. Oggi le mafie operano nei mercati, anche in quelli legali, agiscono nella finanza e quindi se non abbiamo degli strumenti idonei per combattere questo tipo d’infiltrazioni, anzi forse dovremmo parlare non più d’infiltrazioni ma d’integrazione delle mafie all'interno dell'economia, credo che la battaglia sarà difficile, C’è poi l'aspetto della corruzione. Mafia e corruzione sono le facce della stessa medaglia, perché in questo momento le mafie non usano quasi più il metodo violento, non usano più le armi, preferiscono di gran lunga la corruzione che non lascia tracce, non lascia sangue sulle strade e non dà allarme sociale. E questo le rende proprio invisibili, invece ci sono e sono più pericolose di quelle che si vedevano e che insanguinavano le strade in passato.

Tornando al presente, c'è stata una recente sentenza del giudice di legittimità, la numero 44.154, che ha posto su due piani diversi le intercettazioni telefoniche e le chat criptate, provocando non pochi problemi. Che ruolo giocano le chat criptate nel panorama criminale odierno?
Io credo che le mafie si siano evolute al punto tale da poter usare in maniera agevole qualsiasi tipo di tecnologia, comprese queste chat criptate. Quindi potremmo anche parlare di cripto-mafia e qualcuno già ha usato questo termine. E quindi noi dovremmo essere adeguati a combatterle sotto quest’aspetto all'interno dell'Internet. Quindi occorrono nuovi strumenti. Io sono favorevole a un potenziamento dei Trojan, forse sono uno dei pochi giuristi che parla di quest’aspetto, perché credo che le intercettazioni siano, insieme ai collaboratori di giustizia, i due strumenti che riescono a incidere più in profondità nella lotta alla criminalità organizzata. E quindi secondo me diversificare questi aspetti togliendoli dalle intercettazioni pone il rischio poi di come poterle utilizzare anche nell'ambito di un dibattimento dove si forma la prova. Dobbiamo stare attenti alle diversificazioni. Il sistema delle intercettazioni, così com’è stato concepito nella lotta alla criminalità organizzata, assolutamente non va toccato. Ho letto di provvedimenti governativi che vorrebbero addirittura tagliare i fondi delle intercettazioni, questo significherebbe la fine della lotta alla criminalità organizzata sotto il profilo delle intercettazioni. Io penso che il 90% delle inchieste antimafia si basino proprio sulle intercettazioni, tolte quelle o comunque ridimensionate, automaticamente vai a ridimensionare anche le indagini sulla criminalità organizzata, quindi starei molto attento a toccare un settore che è delicatissimo.


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Sempre rimanendo in tema di normative, noi abbiamo anche la normativa che delinea le misure di prevenzione patrimoniale. Secondo lei, visto che le mafie, come abbiamo già detto, si sono evolute e hanno patrimoni immateriali e non solo materiali, questa normativa andrebbe ulteriormente aggiornata?
Assolutamente sì, le misure patrimoniali sono quelle più efficaci che colpiscono proprio al cuore la criminalità organizzata perché la colpiscono nella loro potenza economica e quindi anche nella potenza corruttiva. Anzi, io toccherei anche le famose confische ante delictum in materia proprio preventiva. E questo lo farei non solo a livello nazionale, come ho detto più volte, in ultimo in un mio intervento al Parlamento europeo. Ci potrebbero essere misure patrimoniali come la confisca in tutti gli Stati membri e sarebbe necessaria un’armonizzazione dei codici penali e delle legislazioni antimafia su quest’aspetto perché, come abbiamo già detto in precedenza, le mafie sono transnazionali e quindi trasferiscono i patrimoni laddove è difficile poi poterli confiscare. Se, poniamo il caso, in Italia fosse possibile attuare questi istituti, in uno Stato tipo la Slovacchia, dove questo istituto non esiste, se un mafioso collocasse i propri beni lì, e parlo anche di monete virtuali come le criptovalute, per un giudice italiano sarebbe difficile attuare quella misura di prevenzione in uno Stato dove quella misura di prevenzione non esiste. Anche questo sistema ha bisogno di essere aggiornato. Ho sentito dire che si vorrebbe affievolire l'uso di queste misure. Anche in questo caso, torniamo al discorso che facevamo prima, significa ridimensionare la lotta alla criminalità organizzata, significa non incidere sui patrimoni dei mafiosi e questo sarebbe un grosso pericolo per la lotta alla criminalità organizzata.

Ci sono diversi provvedimenti che tentano di limitare la legislazione antimafia e ci sono diverse riforme della giustizia che in qualche modo hanno anche limitato l'incisività del pubblico ministero. Lei pensa che queste riforme, in base alla sua esperienza, importeranno e incentiveranno la criminalità organizzata nel nostro paese?
Come abbiamo detto in premessa, toccare quella che è stata la legislazione voluta e scritta da Giovanni Falcone, che poi si è purtroppo per lui attuata dopo la sua morte, significa ridimensionare la lotta alla criminalità organizzata: toccare il 41 bis, toccare l'ergastolo ostativo, le confische, come dicevamo prima, incidere sulle intercettazioni telefoniche e ambientali, ma anche sulle intercettazioni nel mondo di Internet, significherebbe fare un passo indietro rispetto alla lotta alla criminalità organizzata, quindi bisogna stare molto attenti su quello che si fa. E questo è importante anche quando si affievolisce la lotta ai crimini dei colletti bianchi e ai reati contro la pubblica amministrazione, perché ricordiamoci che il legame, lo spazio tra l'area grigia e i mafiosi è sempre più stretto è sempre più stretto. Io faccio sempre un esempio, quando parlo anche agli studenti all'università: se noi pensiamo che fino a dieci anni fa i 4 hacker più famosi al mondo lavoravano per le agenzie di Stato degli Stati Uniti e della Russia e oggi invece lavorano per stipendi 10 volte più alti per i narcotrafficanti colombiani e messicani, allora dobbiamo porci qualche problema e dobbiamo comprendere che dobbiamo iniziare a operare anche in questo settore, quindi dobbiamo cercare di formare il più possibile sia le forze di polizia che la magistratura a combattere questo nuovo tipo di criminalità organizzata, altrimenti la lotta alla mafia sarà lenta e rischiamo di perderla, neanche di pareggiarla. Io starei molto attento alle riforme che si fanno anche quando si toccano le prerogative dei magistrati, anche quando si parla di separazione delle carriere, anche quando si parla di formazione della prova in dibattimento. Bisogna stare attenti perché questi sono interventi chirurgici che deve fare il chirurgo e non un'altra persona.


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Vincenzo Musacchio, criminologo forense, giurista, associato al Rutgers Institute on Anti-Corruption Studies (RIACS) di Newark (USA). È ricercatore indipendente e membro dell’Alta Scuola di Studi Strategici sulla Criminalità del Royal United Services Institute di Londra. Nella sua carriera è stato allievo di Giuliano Vassalli, amico e collaboratore di Antonino Caponnetto, magistrato italiano conosciuto per aver guidato il Pool antimafia con Falcone e Borsellino nella seconda metà degli anni Ottanta. È tra i più accreditati studiosi delle nuove mafie transnazionali. Esperto di strategie di lotta alla corruzione e al crimine organizzato. Autore di numerosi saggi e di una monografia pubblicata in cinquantaquattro Stati scritta con Franco Roberti dal titolo “La lotta alle nuove mafie combattuta a livello transnazionale”. È considerato il maggior esperto europeo di mafia albanese e i suoi lavori di approfondimento in materia sono stati utilizzati anche da commissioni legislative in ambito europeo.

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