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dipietro comm antimafia video

"Se per inchiesta mafia e appalti si intende il rapporto del Ros, mi pare che fosse del 1991, io non l'ho mai letto. Punto. Né alcuno me ne ha parlato fino a quando sono stato sentito come teste in sede giudiziaria prima a Caltanissetta e poi a Palermo e all'antimafia dell'ARS della Regione Sicilia"
. Sono state queste le parole dell'ex pm di Mani Pulite Antonio Di Pietro sentito ieri in commissione antimafia. Di Pietro ha ripercorso la sua storia personale che lo portò alle dimissioni, ricordando il dossier contro di lui proprio dopo che aveva toccato il capitolo degli appalti mafiosi, citando via via le indagini aperte a suo carico dall’allora pm di Brescia Fabio Salamone, fratello dell’imprenditore Filippo.
"La procura di Milano, nella mia persona, ha indagato in relazione alla questione mafia e appalti (ma non sul dossier mafia - appalti del Ros). Abbiamo fatto interrogatori insieme, io e la Procura di Palermo", ha detto. L'ex magistrato ha raccontato anche delle sue visite al ministero della Giustizia, quando Giovanni Falcone dirigeva gli Affari penali: “(Falcone ndr) ha seguito direttamente l'inchiesta Mani pulite perché da lui passavano, al ministero, le richieste di rogatoria". Falcone, ha aggiunto Di Pietro, "mi diceva di seguire il denaro, appalto per appalto, rogatoria per rogatoria: teneva moltissimo all'inchiesta sugli appalti". "Mafiopoli e Tangentopoli - ha spiegato Di Pietro - sono due facce della stessa medaglia", ma se nel resto d'Italia "il boccino era paritario", a Palermo "chi non seguiva quell'ordine faceva la fine Di Lima".

"Hanno sbagliato anche i Ros"
Antonio Di Pietro
durante l'audizione ha descritto come furono evitati i conflitti di competenza con Palermo, quando emergevano gli intrecci tra mafia e appalti. "Per la Procura Di Milano - ha detto - la figura di Caselli dava l'idea di un'aria nuova, dati i rapporti con la Procura Di Torino. Quando Palermo mise il paletto della competenza territoriale, Borrelli mi disse che su Caselli si poteva contare. Io non volevo cedere gli interrogatori di imprenditori che riconducevano al formato" del sistema degli appalti. "Se in altre parti d'Italia - ha continuato - c'era il sistema appalti-politica, il cui mediatore era un faccendiere e un 'cartello', a Palermo c'era il tavolino con un signore che, come un giudice di pace, assicurava che la quota del 20% andava alla cassa comune. Su questo stavo indagando: Siino gestiva gli appalti per conto della mafia, ma c'era stato, quando indagavo, un cambio di ruolo e Siino era stato defenestrato da Filippo Salamone. Cannai io ma cannarono pure i Ros: S. non era Siino, ma Salamone". Di Pietro ha ricostruito un incontro tra i vertici delle due procure: da Palermo - ha detto - giunsero "Caselli, Lo Forte, Ingroia". Poi vi fu "una cena a casa di Borrelli" e "giungemmo a un compromesso: si concordò che a Palermo venivano trasferite le informazioni acquisite, e io avrei comunque continuato a indagare: quando avessi acquisito informazioni su Palermo, le avrei trasferite ai colleghi siciliani. Devo dire che questo ha funzionato". L'ex magistrato ha riferito del "dossieraggio" partito nei suoi confronti: "Dal 1993 in poi - ha sottolineato riferendosi al lavoro dei magistrati siciliani - riesco ad arrivare allo stesso punto: è vero o no che una parte del sistema imprenditoriale italiano voleva comprare gli appalti in Sicilia? Sì. È vero che è venuto a patti con la mafia? Sì". "Io - ha aggiunto - non ho contestato il 416 bis ma ho trovato il coltello". "Ero arrivato a Gardini - ha proseguito - e ai 93 miliardi allo Ior, mentre cinque miliardi della tangente Enimont erano andati a finire a Lima, referente Di Andreotti. Decine di verbali descrivevano che quando c'era la distribuzione della tangente, una quota andava alla corrente andreottiana. Non ad Andreotti, e dunque non penalmente rilevante, ma chi decideva alla fine? Poi parte a novembre il dossieraggio nei miei confronti, e Fabio Salamone avvia un'indagine su di me, conclusa con il proscioglimento e con l'affermazione che quelle indagini non dovevano essere fatte. Non c'entra niente Fabio Salamone (fratello Di Filippo, ndr) con i rapporti mafia-appalti, anzi ha esercitato l'azione penale sebbene sulla base di segnalazioni anonime". "Perché - ha concluso Di Pietro, rivolgendosi ai commissari - ogni volta che qualcuno cerca di arrivare alla zona grigia, viene fermato da quintali di tritolo o dalla delegittimazione?".

L'incontro con Giuseppe De Donno
"Verso il mese di ottobre del 1992 viene da me il mio ufficiale dei carabinieri di riferimento, Zuliani, che mi disse che un ufficiale del Ros mi doveva parlare. Oggi so il suo nome, lo ricordo, si tratta di De Donno (Giuseppe, ndr), e voleva parlarmi... Dopo la morte di Borsellino le indagini erano arrivate ai principali gruppi imprenditoriali italiani: a quel punto viene questo ufficiale del Ros e mi dice 'con riferimento alle indagini che stai facendo su Ferruzzi, de Eccher, Buscemi, c'è un tizio che ti vuole parlare perché, arrestato da un anno, non gli credono'". "Li Pera - disse De Donno a Di Pietro, secondo il racconto di quest'ultimo in Commissione - si lamenta e vorrebbe parlare con lei, perché lei indaga su fatti che lui conosce e che lo riguardano direttamente, e riguardano la De Eccher, fatti per cui lui sta dentro". "Qualche giorno dopo - ha proseguito Di Pietro parlando questa volta di se stesso - io e un altro capitano dei carabinieri andammo a Rebibbia e Li Pera mi raccontò ciò che aveva detto a Catania, e cioè che a Palermo non gli davano retta". Di Pietro ha ricordato il lavoro che veniva fatto a Milano e le indagini di Palermo sottolineando che a un certo punto la procura di Palermo "ha messo il paletto della competenza territoriale". "Io non volevo cedere ciò che avevo in mano ossia tutta una serie di interrogatori che riconducevano a questo formato: da una parte c'era in Italia un sistema appalti-politica dove l'intermediario poteva essere un imprenditore o un soggetto politico di riferimento, di regola un faccendiere”. Riguardo alle indagini "il compromesso fu che, ovviamente, se ne doveva occupare Palermo per competenza ma non poteva fare a meno di Milano".

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