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L’ex presidente di “Magistratura Democratica” pubblica una lettera su L’Unità in difesa della giudice catanese

Un magistrato può manifestare il proprio pensiero partecipando a dibattiti, convegni o, come nel caso di Iolanda Apostolico, ad una manifestazione pacifica? “Un buon magistrato non sta nella torre d’avorio”, ha scritto ieri l’ex presidente di “Magistratura Democratica” Livio Pepino in una lettera riportata sulle pagine de L’Unità. La vicenda riguarda la giudice del tribunale di Catania che ha deciso di non convalidare i trattenimenti nel cpr di Pozzallo disposti dal questore di Ragusa nei confronti di quattro migranti tunisini - il secondo provvedimento in tal senso della magistrata - finita nella bufera dopo la pubblicazione di un video in cui era stata filmata mentre, ad agosto 2018, protestava contro la decisione dell'allora ministro dell'interno Matteo Salvini di non far sbarcare in porto 150 profughi.
In un confronto tra opinioni contrastanti, Pepino si schiera contro l’idea secondo cui un magistrato farebbe bene a starsene a casa invece di andare a manifestare perché ciò minerebbe l’imparzialità necessaria.
“Non esiste - non può esistere, guai se esistesse - un giudice senza idee - ha scritto Pepino -. Ci sono, invece, giudici tra loro diversi: per credo religioso, cultura, frequentazioni, estrazione sociale, censo, sesso, abitudini, colore della pelle (con le diverse sensibilità che queste caratteristiche portano con sé). Ciò incide, inevitabilmente, sul loro approccio professionale e sulle loro (legittime) scelte interpretative: è così sempre e in ogni parte del mondo ma ciò, di per sé, non ne intacca l’imparzialità, che non è indifferenza o neutralità culturale bensì estraneità agli stessi interessi in conflitto ed equidistanza dalle parti in causa”.  A coloro che sostengono che la partecipazione dei magistrati alla vita sociale, culturale (e anche politica “nel senso lato del termine) del Paese possa, in alcuni casi limite, provocare reazioni negative in potenziali imputati, parti offese, attori o convenuti, Livio Pepino ha sollevato una domanda: “Qual è l’alternativa?” “L’isolamento, il silenzio e la chiusura dei magistrati in una torre d’avorio, che ne escluda, tra l’altro, la frequentazione di funzioni religiose (perché altrimenti gli atei li vedrebbero come avversari), l’impegno in attività solidaristiche (non solo di pericolose Ong ma anche della San Vincenzo o del Banco alimentare), l’acquisto di giornali o riviste (idonee a svelarne le simpatie politiche e culturali), la partecipazione a eventi di impegno e mobilitazione civile (per esempio contro le mafie o contro la violenza di genere o contro le morti sul lavoro) e via elencando - si legge nella lettera -. A meno di ritenere - ma non voglio pensarlo - che le manifestazioni precluse siano solo quelle sgradite alla maggioranza… Difficile pensare che ciò contribuirebbe a rendere la magistratura più indipendente, più adeguata al suo ruolo e più credibile agli occhi della generalità dei cittadini”.
Nella sua lettera, Livio Pepino accusa il pensiero dominante che “non demorde e prosegue affermando che tra le cause principali della caduta di credibilità della giustizia ci sono l’esposizione mediatica e la politicizzazione (chissà perché associate) di giudici e pubblici ministeri”. Una mentalità che cela l’idea di un “passato felice” in cui la magistratura godeva di maggiore autorevolezza e imparzialità. Falso, ha sottolineato l’ex presidente di “Magistratura Democratica”, perché “nel ‘bel tempo antico’ dell’epoca liberale la magistratura era un’articolazione della classe politica di governo tout court: la maggior parte degli alti magistrati era di nomina governativa e spesso di estrazione direttamente politica con frequenti passaggi dall’ordine giudiziario al Parlamento e al Governo, al punto che, fra il 1861 e il 1900, metà dei ministri della giustizia e dei relativi sottosegretari proveniva dai ranghi della magistratura”. Situazione inalterata anche nel Ventennio fascista. “Forse - si legge - uno sguardo a una storia neppur troppo lontana renderebbe i giudizi sull’esposizione pubblica dei magistrati meno tranchant"

Foto © Imagoeconomica

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