Questo sito utilizza cookie tecnici e di terze parti per migliorare la navigazione degli utenti e per raccogliere informazioni sull’uso del sito stesso. Per i dettagli o per disattivare i cookie consulta la nostra cookie policy. Chiudendo questo banner, scorrendo questa pagina o cliccando qualunque link del sito acconsenti all’uso dei cookie.

Bruxelles approva l’“EMFA” ma il giornalismo d’inchiesta ora è in pericolo, all’art. 4 si legittima lo spionaggio dei cronisti per ragioni di “sicurezza nazionale”

Con 448 voti a favore, 102 contrari e 75 astenuti, la plenaria del Parlamento europeo ha adottato la sua posizione sull’European Media Freedom Act (EMFA), la legge Ue sulla libertà e la trasparenza della stampa. E dal 18 ottobre inizieranno le trattative con il Consiglio europeo. “Un voto storico”, a sentire la Federazione europea dei giornalisti ma c’è un aspetto assolutamente non da poco che spegne l’entusiasmo per questo risultato. Un aspetto che riguarda le fonti, pane quotidiano di ogni giornalista.

Se il testo interviene, tra le varie cose, per limitare lo strapotere delle gradi piattaforme, le interferenze governative nelle decisioni editoriali e la concentrazione dei finanziamenti ai media, allo stesso tempo, scoprono il fianco al giornalismo d’inchiesta accettando “come ultima istanza” la possibilità che si debba tenere sotto controllo i giornalisti in nome della “sicurezza nazionale”. A nulla è servita la lettera di 80 associazioni rappresentanti della società civile diretta agli europarlamentari per chiedere, specificamente, di mettere la parola “fine” allo spionaggio dei giornalisti da parte dei governi. Il nervo rimane scoperto. Il problema, a livello normativo, risiede tra le righe dell’articolo 4 (articolo che dovrebbe essere a tutela dei cronisti), in cui si afferma che l’uso di spyware possa essere legittimato solo come misura “di ultima istanza”, nel caso in cui questo sia disposto da un’autorità giudiziaria indipendente per ragioni di “sicurezza nazionale”. Un criterio, questo, che si presta facilmente alla censura di Stato. Con il pretesto della “sicurezza nazionale”, infatti, si possono compromettere inchieste sensibili che riguardano l’establishment, o comunque soggetti legati alle istituzioni nonché i loro autori.

Questo significa che le autorità giudiziarie potranno impiantare e nascondere nei cellulari e o nei computer dei giornalisti dei malware per percepire e rubare informazioni anche personali”, ha protestato in Aula l’eurodeputata M5s Sabrina Pignedoli.

Per la prima volta una legge europea legittima e autorizza ciò che fino a ieri erano degli abusi”, ha detto Dimitri Bettoni, ricercatore e giornalista dell’Osservatorio Balcani Caucaso che ha partecipato ai lavori di coalizione della società civile che hanno affiancato il Parlamento europeo nel dibattito sul primo regolamento Ue sui media.

Quello che più ci rattrista è che il giornalismo è ancora percepito come un attore esterno e non un pilastro del funzionamento democratico”. Perché, ha spiegato a Il Fatto Quotidiano, “non c’è giornalismo che funziona senza protezione delle fonti”.

Nel testo licenziato è richiamata l’assoluta necessità di una attenta e dettagliata opera di valutazione da parte delle istituzioni giudiziarie, ogni qualvolta si sceglierà di utilizzare gli strumenti di sorveglianza, in particolare gli spyware”, ha spiegato ancora Bettoni. “Questo a me lascia l’amaro in bocca, ma rispetto al testo originale è un miglioramento. Cioè ci sarà una supervisione ex ante rispetto all’utilizzo di strumenti invasivi. Nel testo originale si parlava solo di una valutazione ex post e quando qualcuno si fosse accorto che tecnologie di questo tipo sono state utilizzate contro di lei o di lui. L’importante era avere un filtro rispetto all’utilizzo di certe tecnologie, cosa che nella versione originale non era prevista”.

Bettoni ha poi lanciato sulla “sicurezza nazionale” quale giustificazione per la disposizione di servizi di intercettazione di cronisti. “La tutela della sicurezza nazionale - ha evidenziato - è il passepartout che consente alle autorità, di volta in volta, di abusare di certi strumenti e la nostra posizione è sempre stata dire ‘non è necessario’. Perché esistono già tanti altri strumenti che consentono di portare a giudizio un giornalista, qualora ce ne fossero le ragioni. Poi la questione della sicurezza nazionale va oltre l’EMFA”.

La questione della “sicurezza nazionale”, infatti, viene presa a pretesto, in Europa, come nel mondo, in modo sistemico dall’attentato alle Torri Gemelle. “E’ un problema che ci portiamo dietro dall’11 settembre, quando gli Stati hanno cominciato a interpretare il concetto di sicurezza nazionale sotto forma di controllo e informazione capillare. L’EMFA lo rende esplicito”, ha sottolineato Bettoni.

Altro punto critico, sempre sul tema, è cosa si intende per “sicurezza nazionale”.

Durante i lavori di coalizione che ha affiancato l’Europarlamento, racconta a Il Fatto Quotidiano Bettoni, si è provato ad “arrivare a una definizione chiara di cosa sia e quali siano i suoi limiti giuridici”. Ma nulla da fare. “Anche qui il fallimento è palese. Così la valutazione resta in capo alla procura e al giudice per le indagini, a seconda poi dell’assetto istituzionale di ogni Paese. E quindi permane questo ampissimo livello di arbitrarietà su cosa sia sicurezza nazionale e quando questo concetto entra in gioco e fa scattare tutti quei cedimenti alla tutela della professione giornalistica”.

Il giornalismo, ha ricordato Bettoni, “si fonda sulla confidenzialità del rapporto tra il giornalista e le proprie fonti. Da oggi i giornalisti dovranno tener conto del fatto che le loro fonti non sono più inviolabili, non solo dal punto di vista tecnico, ma dal punto di vista giuridico. Cioè non potranno più tornare davanti a un giudice e dire: sono stati violati i miei diritti. Perché il giudice potrà rispondere: no, perché c’erano delle questioni di sicurezza nazionale o legate a indagini sui cosiddetti reati gravi”. Per questo motivo, se la valutazione generale dell’EMFA “è fondamentalmente positiva”, il punto relativo alla segretezza delle fonti rappresenta una macchia che, almeno per il momento, pare indelebile. Ora che iniziano le trattative con il Consiglio Europeo “staremo sulle barricate per fare in modo che il testo non prenda ulteriori derive”, ha assicurato il giornalista. “Però rispetto alla versione del Parlamento, le altre sono peggiorative. Quindi inutili illudersi, è praticamente impossibile che ci saranno miglioramenti”. “E’ un’occasione persa”, ha concluso.

ARTICOLI CORRELATI

Ancora bavagli per la stampa, Forza Italia: multare giornalisti come i narcotrafficanti

Allarme informazione in Italia: crescono minacce e violenze contro i giornalisti
   

ANTIMAFIADuemila
Associazione Culturale Falcone e Borsellino
Via Molino I°, 1824 - 63811 Sant'Elpidio a Mare (FM) - P. iva 01734340449
Testata giornalistica iscritta presso il Tribunale di Fermo n.032000 del 15/03/2000
Privacy e Cookie policy

Stock Photos provided by our partner Depositphotos