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Le parole della figlia Luana: “Se servirà passerò il resto della mia vita per avere la verità e la giustizia che meriti

26 anni fa, uomini indegni e un sistema integrato criminale marcio e corrotto, hanno messo fine alla tua vita e strappato a metà la mia, per sempre”. A scriverlo, in un post su Facebook, è Luana Ilardo, figlia di Luigi Ilardo, ex boss mafioso divenuto confidente dei carabinieri. Ilardo venne assassinato la sera del 10 maggio 1996 nei pressi di casa, a Catania lasciando moglie e figli di cui uno di soli sei anni. Da tempo la sua famiglia cerca verità e giustizia per quello che è sicuramente uno dei delitti più grigi e misteriosi della storia di Cosa nostra.
La storia criminale di Luigi Ilardo, detto “Gino”, ebbe inizio nel 1978, quando venne “battezzato” in Cosa Nostra dopo la morte del boss di Caltanissetta, nonché suo zio, Francesco Madonia. Dopo aver scontato 10 anni di carcere, nel 1993 decise di chiudere con il mondo della mafia, scegliendo di dedicarsi al benessere della sua famiglia e soprattutto dei suoi figli che per via delle sue scelte di vita avevano sofferto a lungo. Per fare ciò si convinse di iniziare a collaborare con lo Stato agendo come infiltrato all’interno della sua ex organizzazione di appartenenza, all’insaputa degli altri uomini d’onore che continuavano a trattarlo come uno di loro. Una scelta coraggiosa, per la quale Ilardo era consapevole avrebbe corso rischi elevati ma che comunque non lo fecero desistere. “Ho deciso formalmente di collaborare con la giustizia dopo essermi reso conto di quanto effettivamente ho perduto durante questi anni passati lontano dai miei familiari e dalle mie figlie, nella speranza che il mio esempio possa essere di monito e d’aiuto ai ragazzi che, come me, si sentono di raggiungere l’apice della loro vita entrando in determinate organizzazioni”, verbalizzò Ilardo dichiarando la propria intenzione di collaborare con lo Stato.
“Fonte Oriente” - questo era il suo nome in codice - ha offerto negli anni un contributo fondamentale per l’arresto di vari latitanti mafiosi e al contrasto delle attività criminali. Grazie alla sua collaborazione con il colonnello del carabinieri Michele Riccio (prima applicato alla Dia, poi al Reparto Operativo Speciale dei Carabinieri), nel 1995 Ilardo riuscì addirittura a condurre i Carabinieri del Ros a un passo dal covo del numero uno di Cosa Nostra al tempo: Bernardo Provenzano, latitante da oltre tre decenni, il quale, però, incredibilmente non venne catturato dai Carabinieri guidati al tempo dall’ex generale dei Carabinieri Mario Mori, che sulla vicenda venne poi assolto dall’accusa di favoreggiamento aggravato a Cosa nostra insieme al colonnello Mauro Obinu. Nonostante la mancata cattura di Provenzano, Ilardo non si è arreso e ha continuato a credere nello Stato volendo andare fino in fondo al proprio percorso di collaborazione con la giustizia che nel mese di maggio del ’96 doveva essere finalmente formalizzata con l’entrata ufficiale nel programma di protezione. Quel traguardo, però, Ilardo non lo vide mai. Il pentito, infatti, venne ucciso da Cosa nostra catanese a seguito di una misteriosa “soffiata istituzionale”, come sancito dalla sentenza in cui sono stati condannati i mandanti e gli esecutori mafiosi del suo omicidio (Giuseppe Madonia, Vincenzo Santapaola, Maurizio Zuccaro e Orazio Benedetto Cocimano)


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La figlia di Luigi Ilardo, Luana © Davide de Bari


Un omicidio di Stato, dunque, come ripete la figlia Luana nel libro di recente pubblicazione per Chiarelettere insieme alla grande scrittrice Anna Vinci. Qualche giorno prima di morire, Ilardo, aveva anticipato che avrebbe fornito all’autorità giudiziaria scottanti rivelazioni sulla strage di Pizzolungo, sul caso Agostino-Castelluccio, sui mandanti occulti delle stragi del 1992-1993, che riteneva essere connesse agli ambienti della destra eversiva e dei servizi deviati che negli anni ’70 avevano posto in essere la “strategia della tensione”, e sulle scelte politiche della mafia palermitana, che nel 1994 aveva trovato in Forza Italia il progetto politico su cui puntare dopo il maxi scandalo di Tangentopoli e il sostanziale “azzeramento” dei suoi ex referenti politici.
"Mio padre perché non venne ucciso dalla mafia quando fece arrestare i mafiosi ma quando arrivò a toccare i fili dell'alta tensione”, aveva detto Luana alla presentazione del libro “Luigi Ilardo, Omicidio di Stato” organizzata da ANTIMAFIADuemila.
Insomma, Ilardo era una voce scomodissima nelle mani dello Stato che evidentemente andava messa a tacere insieme ai segreti inconfessabili di cui era in possesso. “Se servirà passerò anche il resto di quello che rimane di questa mia vita per avere la verità e la giustizia che meriti”, scrive oggi Luana sul proprio profilo.
Te lo promisi quando avevo solo 16 anni, te lo ribadisco e te lo ribadirò ogni giorno che il buon Dio mi concederà su questa terra”. Da qualche anno, grazie all’impegno di Luana, della sua famiglia e di pochi altri, tra cui magistrati, avvocati e ufficiali delle forze dell’ordine, si sta cercando di restituire ad Ilardo quella dignità umana che questa vicenda gli aveva tolto. Ma la strada è ancora lunga. “Luana si sta battendo come una leonessa perché la storia di suo padre, tradito da uomini dello Stato, venga ricostruita e conosciuta, affinché si possa sconfiggere la cultura mafiosa, Cosa Nostra, ma anche quella parte di Stato che non è Stato e favorisce ed ha favorito interessi criminali”, scrive Nicola Morra su Facebook, che insieme ad alcuni parlamentari della Commissione Antimafia, da lui presieduta, è andato giorni fa nel luogo in cui Ilardo venne assassinato 26 anni fa. “Un segno molto importante e significativo”, l’ha definito Luana Ilardo che li aveva accompagnati, “perché in tutti questi 26 anni, nessuno mai aveva fatto qualcosa per noi e per la memoria del mio adorato e amato papà”. “Penso a lui e ciò che penserà dalla sua stella guardando quello che siamo stati in grado di fare per rendergli la verità e giustizia che merita”. “Oggi Luigi Ilardo - scrive la figlia del collaboratore di giustizia - non è più il fantasma, e la polvere sporca nascosta sotto il tappeto, che in tanti volevano che fosse”.

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