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20220104 pettinari parliamo di mafia

La riforma Cartabia, il problema sociale della mafia, il grande muro della disinformazione e la tutela del giornalismo d’inchiesta. Sono stati questi gli argomenti trattati dal caporedattore di ANTIMAFIADuemila Aaron Pettinari durante una diretta sulla pagina Instagram “Parliamo di mafia” gestita da Tommaso Ricciardelli e Giuseppe Rotundo.
A differenza della grande informazione che di mafia “ne parla molto raramente”, questa community da tempo sta dando voce ad addetti ai lavori, magistrati, giornalisti, politici, imprenditori che si sono ribellati alla mafia, testimoni di giustizia, familiari vittime di mafia, testimoni diretti di ogni genere e così via. Ciò che sta alla base di questo “Parlare di Mafia” è, usando le parole di Pettinari, il “convincimento che approfondendo alcuni fatti che sono avvenuti” è possibile capire determinati episodi che hanno rappresentato dei punti cruciali della nostra storia.
In primis il biennio stragista del 1992 - 94 in cui “cade la prima e nasce la seconda repubblica”. “Se un evento come le stragi di mafia del 1992-93 ha cambiato la nostra storia” noi “dobbiamo capire perché la storia è stata pesantemente condizionata da quegli eventi” ha detto il giornalista.
Tali eventi portano ancora con loro ancora molte domande e punti oscuri sui quali sono ancora aperti processi e indagini: “Penso a quelle sui mandanti esterni delle stragi del 1993 a Firenze, - ha continuato il giornalista - penso al processo ‘Ndrangheta stragista a Reggio Calabria di cui è iniziato da poco il processo d’Appello, penso ai processi a Caltanissetta” e non meno importate il processo Trattativa Stato - Mafia di cui ha fatto tanto discutere la sentenza d’Appello del 23 settembre 2021.A mio avviso - ha detto Pettinari - non posso essere contento perché avendolo seguito, letto le carte, letto le motivazioni della sentenza di primo grado, il convincimento che mi sono fatto io e che comunque una trattativa ci sia stata e che comunque le responsabilità ci sono state”.
Molti dicono che la trattativa è una boiata pazzesca, non è così - ha detto - la trattativa è un dato di fatto, c’è stata, ed è scritto in altre sentenza e quell’interlocuzione tra pezzi delle istituzioni (i Carabinieri) è una cosa che non è stata messa assolutamente in dubbio”. Infatti il grande interrogativo che ruota attorno alle motivazioni delle sentenza d’Appello (non ancora pubblicate) è: perché per i carabinieri del Ros “il fatto non costituisce reato” ma per i mafiosi sì?

Le peggiori riforme
“Nella misura in cui se non ci fosse stato l’intervento di magistrati, di alcuni addetti ai lavori, familiari vittime di mafia e alcuni giornali che hanno fatto notare che qualcosa non andava, molto probabilmente sarebbe passata la legge nella sua prima forma che prevedeva che anche i reati di mafia erano inclusi nei reati in cui rientrava la cosiddetta improcedibilità dopo una certa tempistica in secondo grado. Ma quello che si è partorito dopo non è ancora sufficiente perché dietro la riforma della giustizia ci sono dei termini che sono anche incostituzionali gravissimi a mio modo di vedere”. E’ stata questa l’analisti di Aaron Pettinari in merito alla tanto chiacchierata riforma della giustizia che, in base ai tanti pareri raccolti (di magistrati come Nino Di Matteo, Nicola Gratteri, Roberto Scarpinato e Sebastiano Ardita) si prospetta essere estremamente dannosa per il sistema giustizia. Infatti uno dei punti più discussi riguarda il fatto che il Parlamento potrà dettare l’agenda dei reati da perseguire in base a dei criteri non ancora ben delineati. Se “il parlamento può sindacare su cosa o non debba indagare una procura a mio avviso è un’ipotesi indecente” poiché si aggrediscono i principi secondo cui “la legge è uguale per tutti” e “l’obbligatorietà dell’azione penale” ha detto Pettinari, ricordando che all’interno della riforma “ci sono reati affini a quelli di mafia che sono rimasti all’interno dell’improcedibilità” come quello “del reato ambientale”. Il giornalista ha ricordato anche l’abolizione dell’ergastolo ostativo, altro tema oggetto di grandi dibattiti. Per Pettinari è “l’apertura del vaso di Pandora” poiché non solo potrebbe permettere ai boss stragisti di uscire dal carcere ma anche perché “creerà un danno all’istituto dei collaboratori di giustizia perché di fatto in pochi arriverebbero a parlare”.
Inoltre, “dal punto di vista pratico, e ne abbiamo avuto prova a Palermo con centinaia di operazioni, i boss mafiosi una volta usciti da carcere se non collaborano con la giustizia, se non si pentono, tornano esattamente nei punti apicali che avevano”.  Esempio lapalissiano è stato il boss Settimo Mineo, indicato dagli affiliati come possibile nuovo capo della Cupola, il quale “faceva lavori sociali, si era messo a fare il dopo scuola ai bambini” ma contemporaneamente si stava preparando a dirigere la mafia Palermitana.

La tutela dei giornalisti e della libera informazione
Negli ultimi vent’anni si è cercato di mettere “un bavaglio all’informazione. Sempre più si scoraggia il giornalismo di inchiesta e le ultime normative che si sta cercando di portare avanti” ostacolano in maniera incisiva la libertà di stampa. Prima fra tutte la legge sulla presunzione di innocenza.Questo nel giornalismo di inchiesta crea un problema oggettivo” ha detto Pettinari ricordando che un ulteriore ostacolo è rappresentato dalle “querele temerarie”. “Il giornalista non viene tutelato e spesso” chi anche “cronaca locale è sottopagato perché parliamo molto spesso di giornalisti che si guadagnano la pagnotta con sei euro lordi al pezzo” quando va bene. Questo fa sì che per il giornalista sia più conveniente associarsi o lavorare per i grandi giornali ma è proprio questo che reca una grande danno all’indipendenza del cronista e che “porta l’Italia ad abbassare il proprio livello nella scala della libertà di informazione”.
Allacciandosi a questo discorso il caporedattore ha anche ricordato le criticità del diritto all’oblio, legate soprattutto al discorso etico: anche se un personaggio pubblico non ha commesso nessun tipo di reato ma è stato protagonista di episodi moralmente rilevanti il pubblico lo deve sapere.
Un caso su tutti il senatore Giulio Andreotti, il reato è stato prescritto ma ritenuto colpevole di rapporti con la mafia fino al 1980. Cos significa che non possiamo più dirlo? Questo sarebbe gravissimo. Non possiamo ricordarlo perché c’è il diritto all’oblio?”.

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